A partire dal 5 gennaio scorso sono cambiate le normative europee che interessano le imprese che importano, producono o distribuiscono prodotti e merci che contengono sostanze considerate pericolose, vale a dire le SVHC (“Substances of Very High Concern”, sostanze altamente preoccupanti).
Di fatto, per gli operatori che trattano merci nelle quali sono presenti sostanze pericolose, si modificano e si estendono gli obblighi previsti dalle autorità unionali.
Cosa è cambiato dal 5 gennaio 2021
Fino al 5 gennaio scorso vigevano gli obblighi previsti dal REACH (Registration, Evaluation, Authorisation and Restriction of Chemicals), il regolamento in vigore dal 2007 nell’Unione Europea che si applica a tutte le sostanze chimiche: sia quelle utilizzate nei processi industriali, sia quelle di uso quotidiano. Questo regolamento trattava una vasta gamma di prodotti, da quelli per la pulizia, fino alle vernici, così come le sostanze presenti negli indumenti, nei mobili e negli elettrodomestici. Nello specifico, il REACH, all’articolo 33, istituiva l’obbligo di fornire sia ai committenti sia ai clienti informazioni dettagliate sulla presenza di SVHC in misura pari o superiore allo 0,1% del peso del prodotto oggetto della dichiarazione.
A partire dal 5 gennaio, è scattato invece l’obbligo di inserire queste informazioni anche in una nuova banca dati dedicata. Si tratta dello SCIP (Substances of Concern In Articles as such or in complex objects – Products), una sorta di banca dati delle sostanze preoccupanti presenti in singoli articoli o in oggetti complessi come i prodotti.
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Che cos’è la banca dati SCIP
Lo SCIP è dunque una banca dati gestita dall’ECHA, l’Agenzia Europea per le Sostanze Chimiche. Si tratta di un database costituito ormai più di un anno fa – nel gennaio 2020, e solo ora arrivato a pieno regime – il cui obiettivo è sancire che le SVHC non siano solo associate ai singoli prodotti o merci che le contengono, ma che siano anche tracciabili lungo l’intero ciclo di vita degli stessi e, in particolare, nella fase di smaltimento una volta raggiunto il fine vita. Lo SCIP, come già anticipato, non elimina gli obblighi previsti dal REACH, ma deve considerarsi come un obbligo aggiuntivo.
Perché la banca dati SCIP
La banca dati SCIP, è importante sottolinearlo, è stato istituito in ottemperanza alla direttiva quadro sui rifiuti (Waste Framework Directive). L’articolo 9 della direttiva 2008/98/CE, modificata della direttiva UE 2018/851, prevede infatti l’estensione degli obblighi contenuti nell'articolo 33 del regolamento: questo significa che diventa obbligatorio per le aziende che producono, trasportano o distribuiscono articoli contenenti sostanze SVHC fornire le relative informazioni all'ECHA. E rientra, dunque, nei compiti dell’ECHA la creazione della banca dati SCIP e la raccolta delle informazioni lungo tutto il ciclo di vita dei prodotti e dei materiali.
La consapevolezza diventa centrale
Il motivo che ha portato a questa estensione degli obblighi può essere sintetizzato in una sola parola: consapevolezza. Secondo le autorità unionali, favorire l’accesso alle informazioni contenute nel database SCIP consente di rendere più consapevoli i cittadini sia nelle loro decisioni di acquisto sia nelle attività di smaltimento del prodotto a fine vita. Ma si tratta di un’operazione di trasparenza che non riguarda solo i consumatori: nel mirino del legislatore ci sono anche i gestori di rifiuti che, in ragione di una maggiore trasparenza delle informazioni, saranno in grado di organizzare con maggiore sicurezza lo smaltimento di articoli e prodotti critici.
Sempre in una logica di maggiore consapevolezza, la banca dati SCIP diventa uno strumento di supporto per le politiche previste dal Circular Economy Action Plan dell’unione, il piano che ha come obiettivo finale la progressiva sostituzione delle SVHC con sostanze più sicure o ecologiche.
Come funziona il database SCIP
Vediamo dunque in primo luogo chi è soggetto all’obbligo di notifica al database SCIP.
Secondo quanto previsto dalle autorità unionali, sono obbligati alla notifica tutti i soggetti che operano nell’ambito della produzione di merci, della lavorazione di prodotti grezzi o semilavorati, dell’assemblaggio di prodotti, oltre a chi importa materiali da paesi extra UE e a chi distribuisce o gestisce prodotti e merci nel mercato europeo.
Sono invece esclusi dall’obbligo i rivenditori al dettaglio, i corrieri e i gestori di impianti di rifiuti. Questi soggetti hanno altresì facoltà di richiedere, senza alcun onere a proprio carico, informazioni sulla presenza delle SVHC nei prodotti da loro acquistati o trattati.
Quali informazioni inserire nella banca dati SCIP
Per quanto riguarda invece le informazioni da inserire nella banca dati, sono richiesti i dati che consentono di identificare l’articolo, il nome delle SVHC contenute, in quale concentrazione e in quale parte o componente si trovino e tutti i dettagli necessari a consentire una gestione sicura del prodotto sia in fase di utilizzo che in fase di smaltimento.
Poiché lo SCIP è di fatto una banca dati pubblica, l’ECHA ha tenuto in considerazione anche le necessità di tutela dei produttori: per questo motivo viene garantita la protezione delle informazioni commerciali riservate, che potrebbero ad esempio consentire di ricostruire rapporti cliente-fornitore.
Per favorire l’adozione del nuovo strumento e l’adempimento degli obblighi normativi, l’ECHA ha predisposto sul proprio sito una sezione FAQ con una serie di approfondimenti specifici, oltre a una serie di linee guida per comprendere tutte le distinzioni tra sostanze, prodotti e articoli.
La notifica deve avvenire solo tramite i supporti forniti dall’ECHA sia in forma di programmi scaricabili o utilizzabili in cloud, sia in forma di portale di sottomissione online. Il materiale prodotto dall’ECHA è disponibile in 23 lingue e include anche un'infografica molto chiara e un volantino riepilogativo.